Ritengo che lo scopo di ogni attivista dovrebbe essere lavorare duramente per aggregare consapevolezza e consenso sui temi più importanti e fare rete, facendo capire alla gente e alle forze in campo quale sia la strada giusta da seguire. Far dialogare chi non si parla più, indurre il dibattito dove non c'é, aprire porte chiuse o che terzi vorrebbero chiudere. E creare nuove sinergie che l'attuale clima generalizzato di radicalizzazione delle posizioni e chiusura preclude.
La massa critica contro l'ordoliberismo, il lobbysmo e contro l'apologia del vincolo esterno é ben lontana dall'essere raggiunta, e a mio modo di vedere un dibattito che partisse in una CGIL o in un PD, da altri apostrofati come "collaborazionisti da distruggere", sarebbero una vittoria. Ma perché ciò avvenga occorre parlare, non liquidare o accusare o insultare. Anche se ne avremmo tanta voglia. Io per primo.

mercoledì 4 febbraio 2015

Orfeo ed Euridice


Canova, Orfeo ed Euridice
Buona sera a tutti.
 
Forse non tutti sanno che nel tempo libero (quale? buona domanda) mi dedico alla scrittura creativa.
 
E su imbeccata di una mia amica, la blogger imagy-mary  che saluto e ringrazio, ho scritto un racconto che vorrei condividere con voi, nell'ambito di una piccola "sfida letteraria" il cui tema era:

"Scegli un personaggio (un eroe, un Dio, un semi-dio, insomma chi volete) della mitologia o letteratura greca antica e sviluppa una storia che lo riguardi (non ci sono limiti di ambientazione: dalla Grecia antica ad un mondo post apocalittico); l'unico vincolo è di svilupparne la psicologia, andando contro alla tradizione greca i cui personaggi avevano una caratterizzazione minima."
 
Ed ecco il risultato, liberamente ispirato alla tragedia di Orfeo. Buon divertimento, commento libero.


Orfeo ed Euridice
di Mattia Corsini
 
 
<<Madre, mi fa tanto male...>> la piccola Marie sospirava senza sosta nel delirio febbrile, gli occhi grigi appannati da lacrime e sudore. Le coperte la avvolgevano come un sudario, e nello sguardo di Elsa c’era tutta la preoccupazione che quella presto non sarebbe più stata una semplice similitudine.
Difterite gioviana, male tremendo e quasi incurabile. Antidoti? Vaccini? L’intervento diretto di Esculapio era una speranza migliore per i malati.
L’uomo, in fuga dalla sua terra morente, aveva conquistato larga parte del Sistema Solare e aveva addirittura colonizzato Europa, quarto satellite di Giove, solo per rendersi conto che il pianetino sarebbe probabilmente diventato l’ennesimo epitaffio tombale alla sua follia. Temperature vicine allo zero assoluto, germi ancestrali scatenati, pirati spaziali... Che altro serviva per confezionare un disastro?
Elsa si sforzò di sorridere alla figlia: <<Abbi pazienza Marie, presto arriveranno gli Argonauti con il vaccino, e magari ti porteranno un po’ di quei dolcetti di Venere che ti piacciono tanto...>>
Un sorriso si allargò sul volto della piccola, al pensiero di quel cioccolato speziato e dolcissimo, e probabilmente la sua ultima sensazione fu di sentirlo sciogliere in bocca. Quando spirò, era forse arrivata alla parte in cui si leccava le dita una dopo l’altra.
<<Che bello...Ti voglio bene.>> Elsa udì mentre le ginocchia le cedevano e crollava urlando sul capezzale della piccola.
***
La navetta spaziale AR222GO7, classe “Lost ship”, matricola sconosciuta, Argo per gli amici, stava attraccando in silenzio allo spazioporto di Nuova Lemno. Mani esperte stavano sfiorando i comandi di atterraggio, e solo un lieve tremore tradiva ciò che poteva essere successo solo pochi secondi prima.
Orfeo sudava copiosamente. Non si sarebbe mai abituato del tutto agli agguati della Federazione Terrestre, pensava. Tuttavia c’era qualcosa, nella sensazione del dopo, qualcosa come un sapore, un retrogusto sulle labbra, che sempre gli dipingeva un sorriso sardonico in volto.
Anche oggi era sfuggito a forze preponderanti. Anche oggi aveva trovato la rotta nei vorticosi campi di asteroidi gioviani dove il pilota mediocre trova solo una morte rapida. Anche oggi era riuscito nell’impossibile. Così gli era stato promesso e così fu. Si accarezzò per un istante la cicatrice che gli solcava naso e gote, mentre un unico pensiero lo colmava:           

“Non oggi, Ade!”
Rivolse poi uno sguardo d’intesa all’unica persona con cui avrebbe diviso la gloria:        

<<Menade, procedura di attracco. Motori al minimo e sequenza diagnostica avviata. La nave è tua.>>
La mutante venusiana non se lo fece ripetere. Sorrise maliziosamente al suo comandante, e afferrò la cloche con le sue dita insolitamente lunghe. Gli occhi di Orfeo indugiarono un attimo di troppo sulla scollatura della sua tuta da lavoro, poi l’uomo si sollevò e si diresse con passo deciso verso il portellone posteriore, su cui campeggiava, dorato, il simbolo di una cetra stilizzata.
<<Liberare!>> ordinò l’uomo, afferrando un mantello termostatico e indossando uno scafandro climatizzato.
Uno sbuffo di vapore e un rumore sordo, e lo sportello si aprì sulla desolazione spettrale di Europa. Ogni volta che tornava era peggio. Cataste, cataste di corpi rigidi e senza vita ovunque. Inutilmente erano stati imballati e marchiati con il logo della Croce Rossa Interplanetaria, nessuno li avrebbe mai riportati a casa.
“Contemplerete le stelle per l’eternità.” Pensò Orfeo con una punta d’invidia, scendendo fra le cataste come il monarca infernale marciava tra le ombre, sorridendo in silenzio.
L’unica sagoma verticale attirò in breve la sua vista. L’uomo si diresse senza indugio verso di lei, senza neppure trasalire ogni volta che pestava e sbriciolava una mano congelata che sbucava dal ghiaccio.
“Bene, una testimone basta. E se ho contato bene i corpi freschi, non avrà problemi a pagare.”
La sagoma indossava una semplice tuta termica, e ciondolava vistosamente. Principi di assideramento, pensò l’uomo. “Questa scriteriata è uscita senza scafandro. Facciamo presto”.
La sagoma si mosse appena, rivelando una rudimentale pistola nella mano destra, che gli fu puntata al volto, non senza un evidente tremore della canna.
“Modello HK 177 antigelo. Robetta.” Orfeo sogghignò.
Una voce metallica lo raggiunse via radio:          
<<Tu sei arrivato tardi e mia figlia è morta. Non ho più bisogno della tua merda chimica. Torna da dove sei venuto o muori qui. A me non importa più di nulla.>>
“Sparami idiota, spara!” Pensò per un istante l’uomo, mettendo mano ad una delle sue tasche ed estraendone una fiala pressurizzata. Poi rispose:
<<Ascolta, terraformante. Sono sicuro che conosci i metodi della Federazione per garantire la quarantena qui. Nondimeno, sono arrivato. E se non posi quel ferro immediatamente, sarà troppo tardi per tutti e tre. Posalo e vivi. Vivi con tua figlia. Sparami e muori. La scelta è tua.>>
Il tremore della donna parve aumentare, poi il dolore troppo fresco e le lunghe ore di attesa al gelo ebbero la meglio. Orfeo la vide crollare come un pupazzo con i fili spezzati, nella neve, fra turbini di ghiaccio e vento.
***
Non gli fu difficile ripercorrere i passi della donna fino a casa sua. Il peso era notevole, ma non era nulla per il suo corpo semimeccanizzato. Nè gli fu difficile trovare la casa. La porta era ancora semiaperta, le luci accese. Entrò e si chiuse la porta alle spalle. Dopo aver adagiato la donna sul suo letto, la guardò in viso:
“Occhi rossi di lacrime fresche. Congelamento oculare parziale. Nessun danno permanente.” Registrò mentalmente. “Bene”.
La piccola era lì dove era spirata, e stava ancora sorridendo. Orfeo si tolse il guanto dell’unica mano biologica che gli restava, e ne sfiorò il sudore ormai congelato, i lineamenti cristallizzati in una maschera grottesca di gioia e morte. Di fronte ai suoi occhi, un altro volto femminile prese il posto di quello della piccola per un istante, e Orfeo si scoprì ad ansimare. Ma fu solo un attimo.
“Tu sei l’ultima. Farò ciò che devo. Per te, Euridice!” pensò calando su di lei come un’ombra scura, la fiala stretta in pugno, lo sguardo gelido come quello dei corpi là fuori, forse di più...
***
Trascorsero ore, che forse erano giorni. Poi un peso familiare sul petto destò Elsa dal suo sonno. La sua piccola era lì, sdraiata su di lei, la manina stretta nella sua e il volto seminascosto nelle pieghe del suo mantello, come un cucciolo. Dormiva, come dormono i bambini, con un respiro appena percettibile, quasi un ronzio. E le sue labbra erano sporche di cioccolato!
Le lacrime colmarono lo sguardo della madre, mentre affondava le mani nei capelli della piccola, accarezzandone avidamente il capo, come se null’altro di lì al Sole avesse importanza.
<<Marie! Piccola! Cucciola! Sei tu! Sei viva! Oh, sia lodato Zeus Olimpico! E’ un miracolo!>> singhiozzò Elsa traendo il corpicino al petto, mentre la piccola apriva d’improvviso gli occhi, come destata da un sogno.
Marie guardò la madre per un istante forse troppo lungo.
Poi sorrise tristemente, come Orfeo ore prima, tra i corpi.        

<<Che bello...Ti voglio bene.>>
Orfeo e la sua ricompensa erano spariti.
***
La porta della sua cabina era chiusa da ore, la luce del tavolo da lavoro accesa, e Europa era a centinaia di migliaia di chilometri. Eppure, il suo gelo, quello era ancora lì. Penetrato nelle membra meccaniche di Orfeo senza apparente rimedio. Ma soprattutto penetrato nel suo cuore, molti anni prima.
L’uomo lavorava alla sua mano sinistra senza sosta. Presto sarebbe tornato su Plutone, e tutto doveva essere perfetto. Erano passati anni dall’ultima volta che lei gli aveva sorriso. Troppi anni. Lui stesso non ricordava più quanti. Anni passati fra attimi di gloria fugace, ardente speranza e rabbiose delusioni. Braccato come un cane bastardo. E solo.
Con un sospiro poggiò finalmente il cacciavite idraulico sul tavolo e rimirò il risultato. Indice di coordinazione interneurale, 99.99% si leggeva sul monitor sulla parete.
“Bene.”

L’uomo si alzò, nudo, registrando mentalmente il cigolio del ginocchio destro. Si fece l’appunto mentale di verificare l’alloggiamento della rotula in titanio prima dell’atterraggio, poi sospirò guardando il letto. Menade era lì, dolcemente distesa tra le coltri stropicciate. Era stata così bella... Una pelle levigata come il topazio, salvo sulle mani, l’unica parte a tradire la lunga e operosa vita vissuta al suo fianco. Ma quella pelle che poche ore prima ribolliva di desiderio per lui, ora appariva fragile e sottile, una carta velina di colore livido e verdognolo, malsano, disgustoso a vedersi. Presto avrebbe persino cominciato a puzzare. Orfeo si portò una salvietta profumata al naso, il viso contorto in una smorfia di disgusto.               

<<Presto mi occuperò anche di te, vecchia amica. Non volermene, ma...Comprendi che eri di troppo vero?>> sussurrò avvicinandosi a lei e sfiorandole la fronte. Poi distolse lo sguardo. Il vero problema erano quei magnifici occhi verde acceso cui non era mai riuscito a resistere... Occhi senza palpebre che lo fissavano con vuoto rimprovero.
Era stato costretto a bendarla dopo averla anestetizzata, altrimenti non sarebbe mai riuscito a romperle il collo nel sonno col suo arto meccanico. Ma a tutto c’è rimedio. Lui trovava sempre il rimedio a tutto. Che fosse una rotta impossibile, un posto di blocco planetario a prova di ladro o un combattimento disperato, la soluzione gli si palesava sempre alla fine. Alcuni là fuori amavano ripetere che egli dovesse avere un computer al posto del cervello, molti di più che lo avesse al posto del cuore.
Pensieri confusi attraversavano la sua mente, mentre ancora nudo recava il corpo di Menade al portello pressurizzato, sempre avvolta nelle stesse lenzuola dove l’aveva posseduta. Poi la poggiò nella piccola alcova metallica e chiuse la porta stagna.
“Ecco, cara amica. Ora non appartieni più nè a me nè a nessun altro. Ora sei davvero libera. Possano le stelle accoglierti nel tuo lungo viaggio verso la luce o verso le tenebre.” Pensò l’uomo azionando con forza una grossa leva rossa sulla parete. Il corpo di Menade venne sbalzato fuori dal risucchio in un istante.
“Il tuo compito qui è finito. Addio.”
In silenzio Orfeo tornò al tavolo da lavoro e in silenzio riprese le riparazioni. Ancora quel dannato ginocchio... La vecchia ferraglia cigolava più del solito, e gli sembrava il pianto di un bimbo o il guaito di un cucciolo ferito.
Odioso.


***
Una voce metallica lo risvegliò dal pesante sonno indotto dalla droga analgesica che assumeva. Chiunque avesse una percentuale di meccanizzazione superiore al 51% non poteva farne a meno per contrastare la sindrome dell’arto fantasma, ma questo non lo rendeva meno fastidioso per lui.
<<Superata l’orbita di Cerbero, inizio procedura di attracco automatico su Plutone, località Cava di Ammoudia. Allacciare le cinture, possibilità di turbolenze 76.5%...>>
Orfeo ignorò la voce e, invece di sedersi in cabina, indossò con cura il suo abito migliore e si rasò perfettamente baffi e barba, massaggiandosi poi le gote con una lozione emolliente. Si ricordava bene la speziale che gliel’aveva venduta. Se fosse stato possibile non avrebbe voluto spararle, ma era malata e non poteva darle il vaccino. Non a lei. Non era nell’elenco. Ade non ammetteva eccezioni.
Si rimirò nello specchio compiaciuto, ignorando i sobbalzi della nave. Uno dei vantaggi di avere piedi meccanici magnetizzati, pensò l’uomo. Una nuova luce di speranza era accesa in fondo ai suoi occhi, mentre si specchiava verificando ogni minimo dettaglio, come uno sposo novello.
“Eccomi Euridice... Ora sono esattamente come mi ricordi. Ora saremo di nuovo una cosa sola, e tutto sarà come prima. Nessuno ce lo impedirà, te lo giuro sulla mia vita.”
***
Una porta pressurizzata fu aperta tra sbuffi di vapore,  e Orfeo fece il suo ingresso nel laboratorio segreto del dottor Ade. Ricordava bene l’umiliazione che si era autoinflitto al suo unico altro ingresso, un’eternità prima. Aveva strisciato. Per Ares, aveva pregato.
Ora non più. Aveva mantenuto il patto alla perfezione.
Un tempo lontano era stato Orfeo il vile, Orfeo il vedovo, Orfeo il prostrato.
Ora entrava Orfeo l’eroe, Orfeo l’inafferrabile, Orfeo il seduttore, Orfeo il dispensatore di miracoli. Orfeo il figlio di Zeus.
Orgoglio, bramosia e una gioia feroce erano dipinti nei suoi occhi, mentre il vapore spariva, rivelando il complesso circolare di loculi pieni di liquido refrigerante che ricordava bene. Figure umanoidi diafane e nude giacevano in sospensione all’interno, immobili. Al centro del cerchio, di schiena, intento ai comandi di una consolle, ecco lui, Ade, il medico dei miracoli.
<<Ti stavo aspettando, figlio mio. Da 23 minuti per l’esattezza.>> disse l’uomo voltandosi. Un camice grigio scuro ne delineava la figura imponente, troppo per un uomo di scienza. Occhiali con montatura d’osso spiccavano sulla sua fronte corrugata dall’età, mentre i pochi capelli, neri come l’Averno, erano in piega perfetta. Non una singola protesi meccanica ne deturpava la figura, che emanava come allora la grazia e la maestà di un’intelligenza superiore, forse unica nel suo genere.
Le sue lunghe dita bianche riposero gli occhiali nel taschino, su cui campeggiava una targhetta dorata finemente incisa su cui si leggeva “Dott. Ade”, e sorrideva con sincerità mentre con passo leggero fece per avvicinarsi a braccia aperte al nuovo arrivato. Ma Orfeo non era dell’idea, e lo bloccò con un gesto imperioso della mano.
<<Poche storie, dottore. Non voglio convenevoli ipocriti, ho atteso troppo questo momento. Ha avuto conferma dei miei risultati?>>
<<Dritto al punto come un proiettile, vero Orfeo?>> l’uomo sorrise di più, sfregandosi le mani, per nulla stupito della reazione, e indicò un monitor olografico alla sua destra, in cui, su una riproduzione del Sistema Solare conosciuto, campeggiavano un centinaio di lucine rosse fisse. L’ultima, intermittente, era su Europa.

<<Ma certo che l’ho avuta. >> Rispose <<Cento bersagli, cento combattimenti, cento astuzie, cento successi, e nemmeno un graffio sulla carlinga della mia Argo. La nanomacchina che hai iniettato mi hai regalato cento esperimenti riusciti su cento. Cento magnifici tecnosimbionti eterni in più. Hai lavorato bene, figlio mio... >>
<<Esperimenti? Tecnosimbionti? Di che diavolo sta parlando? Io ho portato vaccini, chiaro? Vaccini!>> ruggì Orfeo stringendo il pugno meccanico. Il dottore non si scompose affatto, e iniziò a muoversi intorno a lui, osservando distrattamente i loculi, con le mani incrociate dietro alla schiena.
<<Suvvia, Orfeo... La tua divina saggezza non ti consente nemmeno di capire una cosa così semplice? Nessun vaccino conosciuto dall’uomo può sconfiggere la morte e neppure io posso... Ma se il Dio Olimpico che l’uomo venera lo ha abbandonato alla malattia, alla solitudine e alla morte, e se persino i superstiti sulla Terra preferiscono chiudere gli occhi e ignorare i fratelli in difficoltà, un uomo di scienza come me è moralmente obbligato ad intervenire per salvare questa stirpe abbandonata dal suo stesso creatore. Io amo l’uomo. Lo adoro nella sua intenzionale imperfezione. E intendo fare sì che questa povera creatura imperfetta ottenga finalmente la pace che merita. E così è. Nessuno di coloro che hai salvato conoscerà mai più fame, freddo, malattia, dolore nè sofferenza. Tramite me, tu gli hai donato i Campi Elisi eterni. Orfeo l’angelo misericordioso, non suona bene al tuo orgoglio, mio caro?>>
Orfeo sudava copiosamente ora. Le singolari parole del dottore lo colpivano nell’inconscio, ma faticava a capirne il senso profondo. Scosse la testa e riprese vigore. Contava solo lei. Presto sarebbe stato con lei, dall’altra parte della galassia rispetto a quel luogo maledetto.
<<Al Tartaro le tue ciance, demonio!  Sono vivi e tanto mi basta. Ora adempi alla parola data e ridammela! Ridammi la mia Euridice!>> urlò.
<<Ma certo, la mia parola è sacra dopo tutto...>> rispose il dottore sfiorando un pulsante sulla consolle centrale.  Orfeo spalancò gli occhi mentre riccioli rosso brillante e il viso di una figura anche troppo familiare uscivano da una porta stagna apertasi sul pavimento, mentre il montacarichi sottostante la elevava in tutto il suo splendore ultraterreno. Un click meccanico salutò l’apparizione di Euridice, della sua Euridice.
Era bella come il giorno della sua morte, o forse persino di più. Indossava ancora la candida tunica nuziale che avevano scelto insieme, e portava al dito il suo anello, unico nel suo genere. Tre brillanti trovati sugli anelli di Saturno anni prima.  Un sorriso radioso illuminava un volto pallido come il latte. Quegli occhi fissi su di lui, azzurri come Mercurio stesso, gli toglievano il respiro. E quelle fossette intorno alle guance arrossate da un’evidente emozione... Sì, era lei, non ci potevano essere dubbi. Solo lei aveva il volto dell’Amore.
Orfeo sentì ira e orgoglio sciogliersi, come si sciolsero le sue ginocchia. Con un sordo rumore metallico cadde in ginocchio sul pavimento del laboratorio. Tutto ciò che avrebbe voluto dirle, tutti i discorsi che si era preparato non contavano più nulla, anzi, non erano mai esistiti.
Balbettando una silenziosa preghiera di ringraziamento, pianse copiose lacrime quando la fanciulla pronunciò finalmente il suo nome.
<<Orfeo, dolce amore mio...>> disse. <<Sei tornato per me.>>
Orfeo, mezzo accecato dal pianto, riuscì a malapena a fare un cenno di assenso col capo. La gola era chiusa dal profondo, non poteva parlare. Parlò lei per lui.
<<Che bello...Ti voglio bene.>> disse.
Il suo sorriso lo portò nei Campi Elisi, e gli diede la forza di alzarsi e incamminarsi verso di lei. Era come un pellegrino estasiato di fronte all’apparizione di Afrodite. E neppure si avvide della sagoma femminile appena entrata dalla porta alle sue spalle, con una pistola stretta in pugno. Due occhi grandi e verdi senza palpebre lo fissavano, privi di qualunque emozione.
Un preciso colpo alla giuntura alla base del collo di Orfeo partì senza alcun preavviso. Bang!
E la sua testa, staccatasi innaturalmente, come quella di una bambola, cadde rotolando ai piedi di Euridice. Quando si fermò, rivolta verso la sua assassina, mostrava ancora l’estasi di poco prima. Liquido lubrificante e filamenti elettrici si sparsero ovunque, creando a terra una lugubre pozza, in cui Orfeo si vide riflesso per un attimo. Dall’orbita vuota del suo occhio destro, rotolato poco più in là, spuntava solo un collegamento elettrico bruciato, e dal foro colava un liquido verdognolo dall’odore acre e disgustoso.
Riuscì comunque a mormorare un’ultima parola, in un rantolo sbigottito da orrore e dolore:
<<Menade...>>
***
Il dottore completò il lavoro con la consueta grazia, velocità e perfezione esecutiva, incredibili per un essere completamente biologico. Terminata l’operazione, si sedette e attese pazientemente, con un’espressione preoccupata che avrebbe ingannato tutte le madri preoccupate del Sistema Solare.
Orfeo si riebbe poco dopo. Si scoprì illeso, su una candida barella al centro del laboratorio, a fianco della quale, in una capsula pressurizzata, la sua Euridice giaceva senza vita, bella come il giorno della sua morte, o forse persino di più.
<<Ho avuto un mancamento...>> il giovane si massaggiò le tempie vincendo un lieve senso di vertigine...A poca distanza, seduto su una poltrona, vide un uomo. Un camice grigio scuro ne delineava la figura imponente, troppo per un uomo di scienza. Occhiali con montatura d’osso spiccavano sulla sua fronte corrugata dall’età, mentre i pochi capelli, neri come l’Averno, erano in piega perfetta. Non una singola protesi meccanica ne deturpava la figura, che emanava la grazia e la maestà di un’intelligenza superiore, forse unica nel suo genere.
Le sue lunghe dita bianche riposero gli occhiali nel taschino, su cui campeggiava una targhetta dorata finemente incisa su cui si leggeva “Dott. Ade”,  e sorrideva con sincerità mentre con passo leggero si alzava replicando con sicurezza:
<<Sarà stata la fatica del viaggio.>>       
<<Ma hai avuto successo.>> Proseguì affabile l’uomo. <<Sei riuscito dove molti hanno fallito. Sei arrivato da me, l’unico uomo di scienza capace di ridare la vita a chi non la possiede più. Ma non regalo questo prodigio a chiunque, e soprattutto non gratuitamente. Cosa sei disposto a fare per riaverla fra le braccia?>>
Orfeo non aveva dubbi. Scattò in piedi, con lo sguardo ardente fisso sul medico:
<<Tutto.>>
<<Eccellente!>> rispose lo scienziato, mettendo mano ad una valigia pressurizzata ai suoi piedi, che aprì con un click secco. <<Queste cento fiale sono un’antitossina sperimentale di mia invenzione. Là fuori, centinaia di migliaia di uomini soffrono e muoiono per le più svariate malattie ogni giorno. Ma questa, questa è la cura per tutti loro. Ed è opera mia! Sfortunatamente, ho due problemi. Primo, non posso muovermi di qui, o il mio laboratorio cesserebbe di funzionare e perderei i miei pazienti e tutti i risultati delle mie ricerche. Secondo, non ho medicina sufficiente per tutti, quindi ho dovuto fare una scelta casuale fra i potenziali pazienti.>>
Il dottor Ade gli porse un piccolo olo-registratore, su cui campeggiava una riproduzione olografica del Sistema Solare. Qua e là, Orfeo distinse alcune piccoli luci blu. Potevano essere un centinaio. Il dottore proseguì:
<<Viaggerai sulla nave che ti metterò a disposizione, la Argo. La bagnarola con cui sei venuto non sarebbe mai in grado di sostenere il viaggio nè di affrontare una battaglia. Dovrai superare rotte ai limiti del possibile, e combattere pirati e posti di blocco, per recare l’antitossina a destinazione, e inocularla negli obiettivi, vivi o morti che siano. Tale è il potere del mio ritrovato. Solo allora potrai fare ritorno qui, e al tuo ritorno avrai fama, ricchezza, e soprattutto riavrai lei. Te lo prometto.>>
<<Ma come posso, da solo... Non saprei nemmeno riparare un guasto... E poi non sono un pilota così abile!>>
<<Ti sottovaluti abbondantemente, figliolo. Andrai benissimo, ti dico. E comunque non sarai solo. Metterò a tua disposizione il mio meccanico migliore! Vieni avanti, Menade!>>
Detto ciò, dall’ingresso fece la sua comparsa una strana donna. Orfeo ne riconobbe immediatamente i tratti mutanti, era probabilmente una venusiana. Aveva una pelle levigata come il topazio, salvo sulle mani, l’unica parte a tradire la lunga e operosa vita che doveva aver vissuto. Aveva due magnifici occhi verde acceso che gli strapparono un sussulto... Occhi senza palpebre che lo fissavano con simpatia e, avrebbe giurato, una punta di desiderio. Indossava una sobria tuta da lavoro e una cintura di cuoio con fondina pendeva ai suoi fianchi con naturalezza. La ragazza fece una riverenza e rimase in silenzio presso la porta guardandolo fisso, come ad attendere un cenno di comando.
<<Allora figliolo, che ne pensi della mia offerta?>> Chiese il dottore con aria sorniona.
Orfeo soppesò un istante più del necessario la situazione, fissando il corpo esanime della sua bella. I chip tecnosimbionti nel suo encefalo organico avevano già elaborato la risposta da tempo, e nemmeno la scollatura di Menade poteva in quel momento interferire con la determinazione che stava venendo implementata in lui in tempo reale, ma la sua programmazione lo rendeva perfettamente in grado di replicare i tempi di reazione umani. Non che ne fosse consapevole, beninteso.
Il suo ginocchio destro emise un lungo cigolio.
<<Accetto.>> disse.
Ade sorrise.


Orfeo, Euridice ed Ermes
 
PS. Sabato e domenica parteciperò al corso UIPASC per preparatori atletici per sport da combattimento, che si terrà a Milano i prossimi due fine settimana. Lunedì 9 febbraio, invece, sarò a Roma per la riunione operativa di Riscossa Italiana. Vi terrò informati sulle novità.
 
Ci vediamo in mischia.
Mattia C
 

4 commenti:

  1. Certo che non c'è "fantascienza" che tenga: è una storia talmente triste e sofferta che è ben arduo gestir l'empatia.

    Per colpa tua mi son visto lo spettacolo teatrale di César Brie, a San Valentino... rigorosamente con un un amico, come vuole la tradizione orfica. :-)

    Piangevano tutti... attori compresi.

    D'altronde, come non c'è denaro senza debito, gh'é mia amur sénza dulur.

    (Gh'è mia sàbèt sénza su, gh'è mia dôna sénza dulur, gh'è mia tusa sénza amur)

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    1. Grazie per averla letta egregio bazaar! :)

      ma a parte la tristezza, ti é piaciuta? commenti? ^^

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  2. Mi è piaciuta sì: dal punto di vista allegorico non mi esprimo. Troppi riferimenti e troppe letture per una risposta a freddo.

    Ho trovato creativo e originale mischiare mito e fantascienza.

    L'unico appunto dal lato stilistico è che troverei almeno un paio di sinonimi dell'aggettivo "copioso" :-)

    Mi è piaciuto molto.

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    1. Segnato copiosamente :D
      Beh, detto da te é un grosso complimento, grazie ^^

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