Ritengo che lo scopo di ogni attivista dovrebbe essere lavorare duramente per aggregare consapevolezza e consenso sui temi più importanti e fare rete, facendo capire alla gente e alle forze in campo quale sia la strada giusta da seguire. Far dialogare chi non si parla più, indurre il dibattito dove non c'é, aprire porte chiuse o che terzi vorrebbero chiudere. E creare nuove sinergie che l'attuale clima generalizzato di radicalizzazione delle posizioni e chiusura preclude.
La massa critica contro l'ordoliberismo, il lobbysmo e contro l'apologia del vincolo esterno é ben lontana dall'essere raggiunta, e a mio modo di vedere un dibattito che partisse in una CGIL o in un PD, da altri apostrofati come "collaborazionisti da distruggere", sarebbero una vittoria. Ma perché ciò avvenga occorre parlare, non liquidare o accusare o insultare. Anche se ne avremmo tanta voglia. Io per primo.

giovedì 17 aprile 2014

Dal Fiscal Compact all'European Redemption Fund: ci servirà una Ri-Costituzione!


Yohoho! Un nuovo esordio ufficiale per noi!
Buon giorno a tutti, qualunque fronte stiate calcando.
 
Intanto una buona notizia per chi mi segue e voglia dare una mano a me e al gruppo piemontese di cui faccio parte con la divulgazione sui temi economico-costituzionali. Abbiamo deciso di creare un'associazione di volontariato apolitica e apartitica per la protezione e l'implementazione della Costituzione della Repubblica Italiana. Essa si chiama "Ri-Costituzione" e il suo scopo sarà fare corretta informazione su quanto la disaffezione e la non applicazione del testo costituzionale sia stato cruciale nel determinare i problemi dell'Italia. Siamo pochi ma abbiamo compentenze variegate e di livello, con cui speriamo di attivare il dibattito in tutti i soggetti politici e  non che vorranno darci ascolto, oltre che con rappresentanti sindacali e delle PMI locali. Ci stiamo attivando anche per collaborazioni radiofoniche con emittenti locali e non.
 
Simili inziative sono in corso ad es. a Genova (associazione LIRE) e altrove. Speriamo che questo modello di azione, che per ora sta dando buoni frutti, possa essere esportato ovunque, nel lungo percorso che ci separa dalla possibilità di creare una risposta politica di massa contro l'ordoliberismo imperante. Ma stante che il fuoco si fa con la legna che si ha e che la scelta di fare politica attiva, dal basso o dall'alto che sia, chiude immediatamente molte porte per faziosità percepita e campanilismo dell'uditorio, questa ci é sembrata la soluzione migliore per diffondere senza preconcetti.
 
La nostra prima uscita sarà la settimana prossima, sempre con gli amici di Indipendenza, mercoledì 23 aprile 2014 ore 21 al Circolo Arci Maché in via della Consolata 9g a Torino. In questa occasione cergeremo di dare consigli orientativi all'uditorio sull'offerta politica attualmente disponibile e come essa si rapporti al problema dell'eurosistema e dell'ordoliberismo.
 
Intervenite numerosi e... Ogni aiuto é ben accetto. Più siamo, più siamo efficaci :)
 
A proposito di divulgazione, posto qui il pezzo che ho scritto sull'osceno ERF, che ad oggi, se venisse applicato, sarebbe una minaccia oltremodo credibile a ciò che resta della nostra sovranità. Presto ne parlerò a Reset Radio con l'amico Lucio di Gaetano. Enjoy! 


Fiscal Compact, Six Pack e European Redemption Fund (ERF)

Anzitutto, per chi ancora non lo sapesse (MALE!!!) cosa diavolo è il Fiscal Compact?
Il Trattato sulla Stabilità o Fiscal Compact è il trattato europeo firmato nel 2012 che, insieme con il Six Pack, in teoria porterebbe ad un coordinamento delle politiche economiche e a migliorare la governance dell’eurozona. Le nuove regole prevedono che i paesi UE s’impegnino ad avere il deficit sostanzialmente in equilibrio, con un valore massimo dello 0,5% tendenziale rispetto al PIL, e questa “regola d’oro” ha assunto la forma di una legge costituzionale o equivalente in tutta l’UE. In Italia (unico caso fra i 25 firmatari) é stata recepita direttamente dall’art. 81 Costituzione, nuova formulazione. La Corte di giustizia UE si occuperà di vegliare sulla corretta trasposizione di questa norma, mentre in caso di mancato rispetto questa potrà anche imporre multe pari allo 0,1% del PIL, nel caso dell’Italia pari a 1.6 miliardi di euro circa quindi. Vale la pena sottolineare che il trattato é valido per qualunque paese UE l’abbia firmato, ma solo per i paesi aderenti all’UME é prevista sanzione in caso di infrazione. 
In soldoni, stante che il deficit italiano attuale é sul 3% del PIL, per ridurlo a 0.5% dovremmo introdurre una manovra fiscale di 2.5 punti di PIL, pari a circa 40 miliardi di euro. Se poi volessimo simulare l’entità delle risorse necessarie per soddisfare la riduzione dell’eccedenza del debito così come previsto dal Six Pack e tenendo conto dei dati previsionali forniti dal FMI sulla dinamica del debito e del PIL italiani nel 2014 e 2015, dovremmo reperire altri 38,4 miliardi di euro (stima del prof. Antonio Maria Rinaldi), ma a conti fatti potrebbero essere molti di più, perché le elaborazioni che in genere fornisce il FMI sulla crescita si sono rivelate essere sempre troppo ottimistiche e non veritiere. Mai quanto il DEF del governo Renzi, ma ci siamo capiti.


Dove devo firmare per pagare la multa?

 
Da quando partirebbe l’esborso? La cosa non é certa, ma piovono interpretazioni: nei gineprai dei regolamenti europei ne spunta uno, il 1467/97 e successivi, che prevede che uno Stato membro, soggetto precedentemente a una procedura per disavanzi eccessivi, soddisfi i requisiti per un triennio a decorrere dalla correzione. Pertanto, essendo stata chiusa la procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia il 29/5/2013, secondo l’interpretazione della Banca d’Italia dovrebbe scattare dal 2015, a tre anni giusti dall’inizio della manovra correttiva avvenuta nel 2012, mentre per il Ministero dell’Economia dal 2016, poiché considera invece la chiusura della procedura d’infrazione del maggio 2013. Visto il recente DEF del governo Renzi e le sue discutibili prospezioni, é lecito comunque aspettarsi una convergenza graduale nel tempo verso l’obbiettivo. Detto fatto, il parlamento ha appena approvato lo slittamento al 2016 dell'introduzione in Costituzione del pareggio di bilancio. Hanno votato contro Lega e M5S, e questo spero faccia riflettere molto gli elettori dell'uno e dell'altro schieramento sulla rispettiva coerenza e criterio.
 
Non é pertanto un mistero ma un semplice conto della serva che, stante che trovare i 40 miliardi annui necessari all’azzeramento del rapporto deficit/pil e gli altri circa 40 miliardi annui per pagare un ventesimo della differenza fra il nostro debito attuale e la soglia tanto fatidica quando priva di senso economico del 60% sia del tutto impossibile, molti commentatori me incluso avevano suggerito di ignorare almeno il Fiscal Compact e rassegnarsi a pagare la multa di 1.6 miliardi, ben più sostenibile per le finanze italiane che diversamente sono destinate al crack greco. Lo stess

Ora, lasciamo un attimo (ma solo un attimo) da parte il fatto che, stando al parere del decano dei costituzionalisti italiani, prof. Giuseppe Guarino, l’intero impianto del Fiscal Compact sia illegittimo, in quanto lo stesso testo precisa che si applica se non in contrasto con altri Trattati su cui si fonda l’Unione Europea (art.2) mentre questi ultimi specificano chiaramente che il limite dell’indebitamento è del 3% (art. 104 c di Maastricht e art.126 di Lisbona) e non lo 0% come invece recita l’art. 3, n.1, lett.a del Trattato in questione.

In generale, la consapevolezza in Italia e UE che il rispetto pedissequo del Fiscal Compact non sia sostenibile matematicamente per le finanze di alcuno stato (Germania inclusa) si sta diffondendo rapidamente. Dunque, il mantra di quasi tutti i politici, compreso il liberista Matteo Renzi, in vista delle elezioni europee del 25 maggio prossimo è “ridiscutere i Trattati”. Come? Non si sa. In base a quali criteri? Non pervenuto. Negoziando con chi? Buio pesto. L’unica certezza è che si vorrebbero ridiscutere i Trattati, incluso il Fiscal compact, il simpatico regalino che l’UE ci ha imposto quando il nostro spread volava alto e la BCE, che singolarmente pare aver capito che il problema base di questa crisi é dato dalla finanza privata e NON pubblica, ci scriveva letterine che di fatto condanneranno l’Italia a tassi di crescita frazionali per i prossimi vent’anni.

Al netto del fatto che oggi si sentano lanciare strali contro quel vincolo europeo proprio da chi l’ha votato in Parlamento senza battere ciglio, vorrei dirvi chiaramente una cosa sola: non si può ridiscutere alcun Trattato. O si esce dall’euro o arriva un evento stile 2008 che fa sospendere le follie europee dalla loro entrata in vigore oppure il dado è tratto. Non c’è proprio nulla che si possa ridiscutere. D’altronde, è l’Europa a ripetercelo a ogni piè sospinto, e il diritto internazionale lo conferma. Stante che i trattati internazionali non sono che la cristallizzazione di precisi rapporti di forza in essere tra le parti contraenti, indebolire la nostra posizione di forza indebitandoci, privatizzando gli asset strategici del nostro stato e attenendoci più di ogni altro anche ai provvedimenti più insensati non può che indebolire ulteriormente anche la nostra posizione contrattuale. Segnaliamo a tal proposito l’opera di divulgazione del presidente di sezione del Consiglio di stato Luciano Barra Caracciolo, autore dell’esaustivo saggio Euro e(o) democrazia costituzionale.

Recentemente, ad esempio, il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem (ovvero colui che ha istituzionalizzato il “modello Cipro” per le future ristrutturazioni dei bilanci bancari, scelta oggi confermata dal parlamento UE), ha ribadito che «l’Italia deve pensare a fare le riforme, piuttosto che invocare lo sforamento dei vincoli di bilancio richiesti a livello comunitario, per tornare competitiva e dare un impulso all’intero recupero economico del Vecchio Continente». Inoltre, a sua detta «è troppo presto per dare una valutazione delle riforme annunciate dall’Italia, che verranno discusse nell’ambito della valutazione complessiva. Ma le raccomando, come a tutti, di attenersi agli accordi e alle procedure». Più chiaro di così. Vale la pena ricordare comunque che anche qualora riuscissimo ad alleggerire tali vincoli di bilancio, questo non migliorerebbe la nostra situazione economica nell’eurosistema. Infatti, in condizione di inferiorità competitiva strutturale in cui ora siamo e impossibilitati ad investimenti produttivi, in ricerca e sviluppo e occupazionali, una maggiore ricchezza privata verrebbe spesa sicuramente in prodotti esteri, aumentando l’indebitamento estero privato che é la vera causa della crisi. Consiglio a riguardo questo mio post.

Tale rigore non sembra altrettanto chiaro per paesi come la Francia (e Spagna), sinora puntualissime nel NON rispettare tali vincoli. Illustri economisti d’oltralpe come Jacques Sapir e Brigitte Granville, sono assolutamente convinti che la Francia continuerà a non rispettare i parametri europei, specialmente questo, forte del suo potere negoziale in UE, pena un terremoto politico interno che potrebbe provocare la caduta del governo Hollande a vantaggio delle forze euroscettiche dietro Marine Le Pen. Prospettiva che giustamente viene ritenuta rischiosa per la tenuta dell’intera Eurozona.

E oggi che i partiti vi chiedono il loro voto per le europee, è il caso che sappiate come sono andate davvero le cose e quale follia la quasi totalità dei nostri eurodeputati oggi a fine mandato, ma determinati ad ottenerne un altro, ha approvato con il proprio sì pronunciato a Bruxelles, nell’ottica di costringere anche i più recalcitranti a rispettare questi vincoli di bilancio. Occorre però fare un passo indietro di quasi due anni e arrivare al 13 giugno del 2012, giorno in cui il Parlamento europeo ha approvato il regolamento per rafforzare la “governance” dell’Unione, con due risoluzioni.

La prima (Gauzes, dal nome del relatore), approvata con il 73% dei voti favorevoli, ha sancito il principio di assoggettamento a tutela giuridica di uno Stato membro a partire dall’anno 2017. Ovvero, tanto per parlare non burocratese, i governi dei vari Stati membri metteranno in pratica le misure raccomandate dalle istituzioni europee, i famosi “compiti a casa”, e dovranno poi presentare alla Commissione un piano di ripresa e di liquidazione dei debiti per ottenere il via libera: di fatto, i governi nazionali dovranno soltanto limitarsi a fare ciò che l’Europa dice loro, non conteranno più niente. Have a nice day.

C’è poi la seconda risoluzione (Ferriera, sempre dal nome del relatore), approvata con il 74% dei voti favorevoli, la quale introduce il fondo ERF, ovvero European redemption fund, anche noto come Debt Redemption Fund. Sorvoliamo sul fastidioso richiamo biblico alla redenzione dal peccato, certamente correlato al fatto che in tedesco debito si scriva shuld (colpa). Cosa comporta questo? È l’ennesimo fondo salva-Stati che l’Italia dovrà finanziare senza, di fatto, poterne beneficiare in caso di necessità perché “troppo grande per essere salvata”? No, è peggio.


Redenzione? Che c'azzecca LUI?


Con la ratifica di questo accordo, gli Stati membri accettano di far rilevare da tale fondo gli importi di debito pubblico superiori al 60% del Pil, in ossequio a quanto previsto dal Fiscal Compact, nell’arco di un periodo di avviamento di cinque anni, ad attuare una strategia di consolidamento di bilancio e un’agenda di riforme strutturali, a costituire “garanzie” per coprire adeguatamente i prestiti concessi e a ridurre i disavanzi strutturali

L’Italia, dall’alto del suo rapporto debito/PIL ora al 133%, dovrebbe partecipare al fondo con la quota maggiore (circa il 40% vedi grafico), ovvero con 1170 miliardi di euro, pari al 73% del PIL. Questa è approssimativamente, infatti, la cifra necessaria per riportare il debito pubblico al 60% del PIL.


Quote di debiti pubblici destinate all'ERF
Fonte: FMI, Bnp Paribas (dati 2013)
 

E questo cosa comporterà? Che per garantire quella cifra si dovrà cedere per circa 25 anni una frazione maggioritaria del gettito delle imposte, vendere una parte del patrimonio pubblico e dare in pegno pressoché tutte le riserve auree (circa 80 miliardi di euro di controvalore) e di valuta estera. E attenzione, in caso non si riescano a onorare i patti sottoscritti, ovvero a raggiungere i risultati richiesti in fatto di riduzione del debito, questo collaterale a garanzia andrà completamente perso, requisito dall’UE. 

Ora, la partecipazione a questo fondo non riguarderà solo i paesi cosiddetti “periferici” ma anche Austria e Germania che sono arrivate a una ratio debito/Pil di circa l’80% (vedi grafico), ma per quegli Stati la tagliola sarà evitata. Per noi no. D’altronde, chi ha formulato questa proposta per evitare che prendesse piede il processo di costituzione degli eurobond? Un gruppo di economisti del Consiglio tedesco di esperti economici (Sachverstaendigenrat). Shuld, dicevamo...

Vediamo di capire meglio il meccanismo. L’ERF potrà emettere obbligazioni con durata massima ventennale (arco temporale passato il quale il fondo verrà liquidato), per finanziarsi e tramutare i titoli nazionali in quelli con garanzia comune, emettendo sul mercato dei capitali una sorta di super eurobond dotato della tripla A, concessa dalle Agenzie di rating alle emissioni della UE. Tali titoli potranno verosimilmente godere di tassi più bassi rispetto a quelli di molti paesi “periferici” dell’UME. 

Già mi vedo la propaganda ordoliberista e i Ventotene boys strombazzare la conquista degli eurobond e della mutualizzazione del debito. C’é il trucco, ma che ne sa la gente? In pratica, i buoni di questo fondo saranno di anno in anno sempre minori e la differenza sarà appunto la quota di debito che ogni Stato sarà chiamato a ridurre. Una manovra del genere richiede ovviamente delle garanzie e quindi, a copertura del 20% del debito del fondo, saranno posti alcuni assets dello Stato, incluso l’oro della Banca d’Italia, proprio quello che con la ricapitalizzazione delle quote di Palazzo Koch voluta dall’ex premier Letta e garantita dalla “tagliola” della Boldrini, di fatto, temevamo potesse finire in mano alle banche. Ora il timore é ben più concreto. Altra copertura sarà circa l’8% delle entrate tributarie dei paesi aderenti, che di fatto saranno pignorate entro questa soglia. Nemmeno le partecipazioni statali di ENI, Finmeccanica, Poste, ENEL, etc sfuggiranno alla purga.

Un eventuale ritardo dei pagamenti farà scattare l’appropriazione dei beni in garanzia, con una logica da perfetto curatore fallimentare. Il fatto è che, calcoli alla mano, per ottemperare al trattato e non vedersi requisiti i beni dello Stato, l’Italia dovrà contribuire ogni anno con una quota di circa il 4% del PIL, la quale però non potrà essere ricavata da indebitamento ulteriore, poiché il livello del 60% deve rimanere tale. Ho ricordato in apertura che il vincolo di pareggio di bilancio é ormai espresso in Costituzione (nuovo art. 81, in vigore dal 2016). 
 
Percentuale di contribuzione degli stati membri all'ERF
Fonte: FMI, Bnp Paribas (dati 2013)

Da notare che all’Italia poi rimarrebbe sempre in carico il 60% del proprio debito (sempre in rapporto al PIL): questo debito diventerebbe di fatto subordinato al primo ed è quindi evidente che i tassi di interesse sui nuovi titoli emessi salirebbero invece di scendere, per la nota massima “Moneta buona scaccia la cattiva”! È probabile quindi che per servire il debito che rimarrebbe in carico direttamente al paese l’Italia dovrebbe, con tutta probabilità, spendere circa un altro 3-4% del proprio PIL.        

Ora, ci rendiamo conto quale tasso di crescita dovrebbe avere l’Italia per ottemperare a quel vincolo senza creare nuovo debito? Dovremmo viaggiare a una media di crescita nominale del Pil di oltre il 3%, con tasso d’inflazione almeno all’1,5% (che eroda l’onere del debito pubblico): insomma, dinamiche di oltre trent’anni fa, praticamente impossibili in un contesto, come quello attuale, di crescita negativa e quasi deflazione conclamata (l’ultimo tasso d’inflazione registrato é di un terribile 0.4%). Si dirà, da qui a tre anni la situazione sarà migliorata e si tornerà a dinamiche di crescita più sostenuta. Probabile, lo spero ma comunque l’Italia dovrebbe imbracciare un trend cinese per farcela, visto che il tutto, poi, va fatto dovendo tagliare per i prossimi vent’anni, in ossequio al Six Pack, 40 miliardi dal bilancio dello Stato.

Ma c’é una conseguenza ancora peggiore. In questo momento il nostro debito pubblico, anche se attualmente espresso in euro, ovvero di fatto valuta per noi estera in quanto impossibilitati ad emetterla nella Zecca di stato, almeno è ancora sotto la giurisdizione italiana. In caso di breakup dell’area euro, potremmo quindi applicare il principio della Lex Monetae previsto dagli artt.1277 e 1278 del nostro codice civile e rinominarlo in valuta nazionale, ovvero la nuova lira, la cui svalutazione ne alleggerirebbe il peso. Con la conversione in emissioni comuni (eurobond), l’eccedenza di debito sarebbe coperta dalla giurisdizione internazionale, non più convertibile in caso di uscita. 
Chi ci guadagnerebbe quindi da questo piano e chi ci perderebbe?
Appare evidente che gli unici che si avvantaggerebbero del piano sono i creditori esteri (in particolare quindi le banche tedesche, che sono ancora piene di BTP): con ogni probabilità infatti cederebbero sul mercato i titoli al fondo ripulendo quindi i propri bilanci a bassissimo costo, e anche qualora non lo facessero avrebbero comunque la garanzia di essere ripagati. Nel breve periodo forse si potrebbe avere anche un’illusoria riduzione nei tassi di interesse (che comunque sono già prossimi al minimo): quando però il povero tesoro italiano andrebbe a vendere i nuovi titoli (che ricordiamo sarebbero a questo punto subordinati ai primi!) è facile immaginare che troverebbe ben pochi compratori, al di fuori delle italiche banche che verrebbero certamente “incoraggiate” dalle nostre istituzioni.         

I nostri residui di sovranità e democrazia costituzionale non sono mai stati così in pericolo, con buona pace dell’on. Giampaolo Galli, capace un anno dopo la firma dell’ERF di dichiarare questo.
 
#Nonélercio
Possiamo dunque star certi che la nostra classe politica, già fortemente deficitaria sulla conoscenza del funzionamento del Fiscal Compact nonostante l’abbia votato e inserito in Costituzione (le risposte alle mail di protesta che inviai ai parlamentari ai tempi non lasciano dubbi), ignora completamente cosa stiano tramando a Bruxelles, pertanto la decisione politica sull’applicazione dell’ERF, il cui iter è da scommettere inizierà subito dopo la chiusura delle urne europee il 25 maggio prossimo, li troverà totalmente impreparati.

Chiunque abbia a cuore il destino, il futuro e l’identità del nostro Paese é invitato ad una capillare opera di corretta informazione preventiva. Forse la coscienza dei cittadini italiani compenserà l’incapacità dimostrata fino ad ora dalla classe politica (senza eccezioni) nel non comprendere l’irreversibilità dei danni di certe scelte scellerate!

Ci vediamo in mischia
Mattia C