Ritengo che lo scopo di ogni attivista dovrebbe essere lavorare duramente per aggregare consapevolezza e consenso sui temi più importanti e fare rete, facendo capire alla gente e alle forze in campo quale sia la strada giusta da seguire. Far dialogare chi non si parla più, indurre il dibattito dove non c'é, aprire porte chiuse o che terzi vorrebbero chiudere. E creare nuove sinergie che l'attuale clima generalizzato di radicalizzazione delle posizioni e chiusura preclude.
La massa critica contro l'ordoliberismo, il lobbysmo e contro l'apologia del vincolo esterno é ben lontana dall'essere raggiunta, e a mio modo di vedere un dibattito che partisse in una CGIL o in un PD, da altri apostrofati come "collaborazionisti da distruggere", sarebbero una vittoria. Ma perché ciò avvenga occorre parlare, non liquidare o accusare o insultare. Anche se ne avremmo tanta voglia. Io per primo.

giovedì 26 marzo 2015

Etica e lavoro. Mia intervista per "Spazio In difesa"

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Ciao a tutti dal mio ritiro di guarigione alle porte del Valhalla dove l'impavido può vivere in eterno e chi ha i legamenti rotti ROSICA guardando gli altri allenarsi. Ma come fece sijo Bruce Lee ai tempi del suo grave infortuinio alla schiena, sto allenando corpo e soprattutto mente per tornare alla grande alla pratica marziale, dovessi impiegarci un anno.

Per quanto riguarda la mente, condividerei quest'intervista che mi é stata chiesta dall'associazione socio-culturale no profit Spazio in Difesa, il cui tema é "Etica e lavoro". Ho dato risposte che certamente non sono molto tecniche nei contenuti, ma spero possano offrirvi buoni spunti di riflessione. L'intervista é comparsa originariamente qui.

Le domande sono state evidenziate in blu. Buona lettura!
 
 
Da sempre impegnato nella lotta per i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali. Ex coordinatore piemontese dell’ARS. Membro dell’associazione “Riscossa Italiana” di cui ricopre il ruolo di responsabile nel settore “Coordinamento Associazioni aderenti”. Per la sua competenza e per il suo impegno soprattutto in ambito economico ci è sembrata la personalità più adatta con cui affrontare questo tema. Convinto sostenitore del recupero alla sovranità monetaria ed alla salvaguardia dei diritti sanciti dalla Costituzione italiana, come il diritto allo studio, al lavoro, alla dignità dell’uomo,ecc... Siamo onorati di approfondire e chiarire con lui alcuni concetti, nonché il suo punto di vista economico per uscire dalla crisi.


 
Lavorare per necessità e lavorare come espressione creativa. Quanto delle due affermazioni fa perno ad un’etica del lavoro nel mondo attuale?
 
Tanto per cominciare buon giorno a tutti e grazie per l’opportunità e l’interesse dimostrato sui temi che tratto. Le domande postemi sono tutte complesse e interessanti e meriterebbero riflessioni approfondite, ma cercherò di riassumere il più possibile.
Beh, esordirei dicendo che a mio parere nulla può rendere più realizzata una persona dell’autorealizzazione e della libera espressione di sé, e questa dovrebbe avvenire anche tramite il lavoro. Io per esempio lavoro come informatico, ma questo ruolo meccanico e ripetitivo ben difficilmente mi consente di realizzarmi in tal senso. Ben diverso é il mio ruolo di marzialista, istruttore e allenatore, che per quanto risibile in termini di reddito, mi dà un appagamento che non ha prezzo e non lo abbandonerei per nulla al mondo, anche se perdessi l’altro. A mio parere qualunque attività lavorativa ha egual valore etico, se perseguita con il massimo impegno e serietà. Il punto è che in termini di realizzazione, appagamento e entusiasmo i risultati sono molto differenti. Anche perché se il nostro intento è perseguire la costituzionalissima e umanissima via che prevede la costruzione di una famiglia, il possesso di una casa in cui vivere e un ragionevole risparmio che ci consenta indipendenza e pianificazione della nostra vita futura (tutti diritti costituzionali di base), dovremo PER FORZA scegliere il reddito sulla creatività.
Ricorderei però a tutti che viviamo in una repubblica “basata sul lavoro”, come inalienabile diritto costituzionale. Citando un caro amico presidente di sezione del Consiglio di Stato e di Riscossa Italiana, dott. Barra Caracciolo, per ogni cittadino italiano “il lavoro non è merce, ma è dignità umana”. E la dignità umana è un diritto inalienabile. Pare persino superfluo sottolinearlo, ma i governi degli ultimi 30 anni, smantellando le protezioni del lavoro duramente conquistate in 150 anni di lotta sindacale, ci stanno negando la dignità stessa. Logico (si fa per dire) che poi, al momento di scegliere un percorso di studi o una carriera di qualunque tipo, ci tocchi spesso fare la scelta fra un percorso che tuteli la nostra capacità di essere quantomeno indipendenti economicamente e un percorso magari molto più incerto, ma che sentiamo rappresenti il nostro vero io. Siamo costretti a farlo SOLO perché i nostri governi recenti hanno dimenticato il significato del messaggio dei padri costituenti. Per lavoro infatti, nelle loro intenzioni, non si intende necessariamente un’attività produttiva o manuale di sorta, ma una qualsiasi attività che ci garantista la dignità e che possa contribuire a garantirci la felicità e un ruolo attivo in società, quindi anche un’attività artistico-culturale-umana che nulla ha a che vedere con la produttività o il timbro di un cartellino. Un problema che tocca da vicino molti miei amici è l’impossibilità a mantenersi di coloro che scelgono la carriera artistica, nella musica o nella pittura, e che forzatamente sono costretti a ridimensionare i loro sogni per potersi mantenere con un lavoro standard. Beh, ci sono luoghi in Europa dove queste persone avrebbero un reddito garantito, per il valore aggiunto enorme che possono dare alla nostra società e alla nostra cultura. Il vero problema è questo sistema liberista, dove la produttività del singolo è l’unica discriminante fra chi riesce a stare a galla e chi no. Questo va rivisto, se vogliamo dare ai nostri figli la possibilità di NON scegliere fra la pagnotta e la felicità. Vale la pena ascoltare le parole di papa Francesco sul tema, che ha compreso il problema ben più di tanti economisti e politici.
 
 
E’ possibile realizzare un reddito di cittadinanza universale, ossia un reddito per tutti a partire dalla nascita?
 
Risposta breve: no. Mi spiego meglio. Un conto è conferire un sussidio e un reddito a persone che conferiscono valore aggiunto alla società in cui vivono con la loro attività artistica o culturale, un conto è garantire un reddito a tutti senza limite né vincolo. Dobbiamo sempre chiederci anzitutto in che paese viviamo e che modello di società abbiamo in mente. Perché l’Italia è un repubblica fondata sul lavoro? Perché come sistema paese non abbiamo né le risorse naturali, né la supremazia strategico-militare, né il ruolo unico di paradisi fiscali e finanziari come la Svizzera, che ci consentirebbero di sopravvivere come economia SENZA lavorare o quasi (e anche in quei casi sarebbe impossibile, a meno che non intendiamo diventare un’economia parassitaria in perenne deficit con l’estero stile USA). Ciò che ha reso l’Italia la quinta potenza mondiale nel recente passato anche senza questi fattori, è la nostra abilità di lavoratori e imprenditori, la nostra proverbiale arguzia e intelligenza progettuale, le nostre idee, il nostro patrimonio umano se vogliamo. Patrimonio umano che possiamo coltivare e mantenere solo se creiamo QUI in Italia possibilità concrete per crescere i nostri figli e garantire loro un futuro, invece di condannare noi e loro all’emigrazione, con danni inconcepibili sia dal punto di vista economico (abbiamo preparato, curato e istruito con denaro pubblico persone che poi arricchiranno con il loro lavoro ALTRI paesi, magari diretti concorrenti), sia dal punto di vista socio-culturale. Non può che essere buio il futuro del paese che non valorizza i suoi elementi migliori, e la pochezza della nostra classe politica è solo uno dei segnali di questa deriva. Io non voglio una società dove sia possibile essere pagati per fare nulla, voglio una società che incentivi all’autorealizzazione tramite la garanzia di un lavoro o attività paragonabile, che è diverso. Ci si chieda perché il reddito di cittadinanza è previsto da economisti come Hayek e Friedman nei loro deliri liberisti. Perché loro non vogliono uno stato che garantisca il diritto al lavoro, e quindi indipendenza e dignità, vogliono un esercito di disoccupati sottopagati che vivono di sussistenza grazie al reddito, e che non si ribellano all’iniquità del governo solo in virtù di questo insidioso ammortizzatore sociale, poiché quello status li rende indifesi e ricattabili. Il reddito di cittadinanza è la resa ufficiale dello stato di fronte alla legittima richiesta di un’occupazione dignitosa, è la negazione del nostro modello costituzionale, è la suprema garanzia del trionfo del modello liberista di distruzione sociale, ed è un qualcosa che vorrei vedere in forma limitatissima e solo per certe categorie di occupati, come quelle citate nella prima risposta.
 
Ogni disoccupato é capitale umano sprecato e un costo concreto per tutta la collettività
 
 
Inflazione e deflazione, ogni ne sentiamo tanto parlare ma di cosa si tratta e perché sembrano influenzare cosi tanto le nostre vite?
 
Sembrano è la parola giusta. Inflazione e deflazione sono due semplici indicatori economici, che come tali vogliono dire tutto e niente, ma per certo vengono usati, al pari dello spread, come strumento di ricatto per imporci un preciso disegno politico neo-feudale, volto allo smantellamento dei nostri diritti sociali più elementari a favore delle élite economiche europee e mondiali. Comunque, per stare sul pezzo, l’inflazione è l’aumento (di solito calcolato su base annua) dell’indice generale dei prezzi. Si parla invece di deflazione quando l’inflazione è sotto lo zero, ovvero se i prezzi tendono a stagnare o addirittura a diminuire nel tempo. Una moderata inflazione è a mio parere un segnale di salute positivo per l’economia di un paese. Infatti, se c’è inflazione, anzitutto, è perché il denaro circola nell’economia reale e nelle nostre tasche, dal momento che l’inflazione è legata alla spesa e alla velocità di circolazione della moneta. Inoltre l’inflazione, ovvero l’aumento dei prezzi nel tempo, disincentiva la tesaurizzazione dei risparmi e penalizza la rendita finanziaria, in altre parole induce risparmiatori e capitalisti ad investire nelle nostre aziende piuttosto che in oscuri prodotti finanziari che vanno solo ad alimentare la finanza speculativa e pericolose bolle finanziarie su mercati di capitali che nulla hanno a che vedere con il nostro mondo di piccoli imprenditori e salariati. La BCE nel suo statuto vede un tetto massimo di inflazione del 2% come un “pregio”, anzi, un vincolo da rispettare. Follia. Anche perché ora siamo addirittura sotto zero (deflazione), e qualunque misura di allentamento quantitativo di Draghi non potrà modificare questo stato. Solo rompere i vincoli del deficit previsti dal trattato di Maastricht e dal Fiscal Compact potrà farlo. Ovvero gli stati europei devono tornare a fare spesa pubblica in deficit per accrescere occupazione e welfare, rompendo i vincoli anticostituzionali dell’austerità liberista richiesta dai trattati europei. La deflazione, che l’UE vede come un valore (la mitica “stabilità dei prezzi”), si ottiene tramite una prolungata austerità. L’austerità elimina lavoro e risparmio privato. Ergo, elimina la nostra Costituzione dalle fondamenta. Tutto ciò deve cambiare, o la Grecia sarà la prima di una lunga serie. Peraltro, paesi come Francia e Spagna rompono costantemente questi vincoli senza problemi né sanzioni. In questa UE ci sono sempre più pesi e più misure.
 
Giustizia sociale ed economia di mercato possono convivere?
 
Ritengo di sì, ma è per definizione una convivenza molto difficile, poiché se il mercato viene lasciato libero di agire sulle nostre vite, e di determinare prezzi e condizioni a cui possiamo accedere al mercato dei lavoro, al welfare più elementare (come scuola e sistema sanitario nazionale) o dei beni primari (come l’acqua), non abbiamo nessuna possibilità di avere nulla di tutto ciò come diritto inalienabile, ma sempre e solo a caro prezzo, poiché si è ben visto che il mercato non ha alcuna chance di autoregolarsi. Monopoli di fatto e cartelli sono all’ordine del giorno, e i prezzi vanno alle stelle, a detrimento del consumatore. Esemplari sono i casi di assicurazioni e autostrade, ma anche delle reti idriche già privatizzate e dell’energia elettrica privatizzata, ogni anno più cara. Se ogni diritto costituzionale diventa merce con un prezzo, tale merce sarà appannaggio solo di chi può pagare. E sempre meno persone possono pagare. Occorrono dei precisi paletti per condizionare gli “animal spirits” del mercato, affinché si crei l’economia sociale di mercato prevista dalla nostra Costituzione. I nostri padri costituenti avevano in effetti previsto una società pluriclasse, dove convivessero risparmiatori, lavoratori, imprenditori e capitalisti allo stesso modo, ed era ben chiaro nel secondo dopoguerra che solo un patto sociale di ferro fra tutte queste realtà potesse garantire la prosperità di tutte. Ovvero ciò che servirebbe a noi oggi. Ma se le scelte politiche vanno a favore sistematicamente di finanza e grande impresa, l’iniquità aumenta, e l’economia collassa per il crollo della domanda aggregata. Molti meno imprenditori gioirebbero del Jobs Act di Renzi, se capissero la realtà elementare che un salariato in meno sul mercato del lavoro è un cliente in meno per la loro azienda. Per uscire da questa tragedia occorre ripristinare tale patto sociale, rimettere la Costituzione in cima alla nostra agenda politica e ripristinare lo spazio d’azione sovrano e il ruolo dello stato come controllore del mercato e come fornitore di servizi essenziali e garantiti a tutti. Sono figlio di insegnanti, e affermo con forza che non ha senso alcuno che una scuola (o un ospedale), che forniscono servizi e assistenza indispensabili, funzionino come aziende, ergo lucrino sulla pelle (letteralmente) dei propri alunni e pazienti. Solo uno stato disposto a spendere il giusto può garantire questo. L’austerità, le privatizzazioni selvagge e il libero mercato sregolato di merci e capitali sono il nemico contro cui ergersi politicamente. Altrimenti, facendo prevalere l’interesse del mercato sulla collettività, continueremo a raccontare storie di imprenditori che chiudono e spostano l’azienda in Serbia o in Bangladesh, dove salari e diritti dei lavoratori sono nemmeno lontani parenti dei nostri. E per ogni ditta che chiude, decine di famiglie restano alla fame. E’ quello che vogliamo?
 
“…Ritengo che lo scopo di ogni attivista dovrebbe essere lavorare duramente per aggregare consapevolezza e consenso sui temi più importanti e fare rete…” Questa tua affermazione ci ha colpito molto, perché in poche righe hai sintetizzato perfettamente il primo obiettivo per attuare un cambiamento. Secondo la tua esperienza perché oggi è cosi difficile “fare rete”?
 
Mi spiace, perché quel che dirò è molto triste e tocca molte persone con cui ho lavorato in passato, ma la realtà di oggi non è rosea. Il sistema liberista e la manipolazione dell’informazione compiacente al pensiero unico che viene propagandato dai media ha indotto con grande successo una tremenda guerra tra poveri. Fateci caso, sempre più spesso ci vengono indicati presunti responsabili della crisi, identificabili con gruppi ben precisi e identificabili. Gli immigrati, gli evasori fiscali, lo stato corrotto, i politici spendaccioni, i dipendenti pubblici troppo pagati o sovradimensionati, i fannulloni sul lavoro, i bamboccioni che non vogliono lavorare, i tedeschi cattivi, i greci corrotti e spendaccioni e così via. Nessuno di questi gruppi è realmente responsabile della crisi, salvo semmai i nostri politici in buon accordo con i colleghi di tutta europa, e non per la loro corruzione, ma semmai per il loro asservimento all’idea del vincolo esterno e a qualunque desiderata estero, che viene sistematicamente preferito all’interesse dei cittadini italiani e del nostro paese. Siamo in guerra gli uni contro gli altri perché noi non vediamo compagni di lotta di classe o amici, vediamo potenziali colpevoli del nostro malessere e concorrenti nella lotta per afferrare poche briciole di pane che cadono dal tavolo di chi ha preso precise decisioni politiche. Particolarmente comodi poi sono i colpevoli esterni, come popoli esteri o immigrati, che per definizione possono essere additati senza correre il rischio di scontentare una parte del proprio elettorato, e qui il pensiero alla Lega è d’obbligo… Questo è il substrato.
Poi per esperienza, ho visto molte persone meritevoli e insospettabili, ma incapaci di mettere da parte le proprie rivendicazioni personali di fronte ad un progetto meritorio. L’inerzia della storia e della nostra società è enorme, viviamo in un’anomalia democratica permanente per cui è quasi impossibile per una forza che venga dal basso avere visibilità ed efficacia politica per le sue rivendicazioni. Quindi chi decide di tentare di farlo, deve agire alla perfezione, come una squadra, creando alleati e amici, non rivali e nemici. Aprire porte, non chiuderle, mettere da parte orgoglio e bisogno di rivalsa e di riconoscimento per il lavoro svolto, che non hanno alcun senso. Con questo non voglio dire che si debba far rete con tutti. Ho conosciuto persone che, per totale assenza di disciplina, metodo e per la presunzione molto italiana di sapere di sapere sempre, farebbero fallire progetti ancor prima della loro partenza. Non tutti possono fare politica attiva e divulgazione. Spesso prevale la disperazione, di fronte a problemi troppo grandi, e la gente disperata diviene spesso caotica, esaurita e incapace di attivarsi in modo virtuoso. Molti cosiddetti “guru antisistema” spesso inviano messaggi e slogan che incitano alla divisione, alla discriminazione e all’odio, con toni totalizzanti e forcaioli che hanno ulteriormente diviso il fronte fra i “tifosi” delle varie fazioni. E sono persone che magari vogliono esattamente la stessa cosa con poche varianti, e nonostante questo passano il tempo a farsi le pulci a vicenda per difendere il loro micron di visibilità fra le risate fragorose del mainstream.
La nostra politica ha sbagliato tanto, forse troppo. Ma è lei ad essere nella stanza dei bottoni ora e per i prossimi anni, ergo occorre dialogare con essa, non insultarla e criminalizzarla. Mettere pressione con tutti i mezzi democratici, fare informazione, indurre la gente al voto responsabile e alla partecipazione politica attiva, poiché l’astensionismo è DEL TUTTO funzionale al mantenimento o al peggioramento dello status quo. Il ruolo del M5S in tal senso è stato negativo e ha peggiorato astensionismo e possibilità di dialogo fra forze diverse. Il dialogo politico e le soluzioni di compromesso fra forze anche molto diverse sono il pane e il burro della democrazia, ma oggi grazie a Grillo si chiamano inciuci e sono viste come il male, e questo è tremendo. Non é possibile radicalizzare il dibattito a certi livelli e criminalizzare tutti tranne sé stessi pretendendo poi di essere ascoltati o di governare solo con un utopico 51%. E’ il modo migliore per isolarsi e vanificare il voto di milioni di italiani. Italiani che prima erano stati convinti che un simile voto fosse l’ultima speranza rimastagli. Logico che di fronte al fallimento della strategia del M5S si rifugino nell’astensionismo o peggio, nell’estremismo, privi di qualunque speranza e quindi incapaci di organizzarsi loro stessi in altro modo.
 
In una conferenza hai fatto paralleli fra la nostra crisi e quella del 1929? Puoi riassumere in breve anche ai nostri lettori?
 
Certamente. Due erano le cause principali della crisi del 1929. La libera circolazione dei capitali e relativa speculazione sregolata, a tutto svantaggio delle classi salariate americane, costrette ad indebitarsi senza controllo fino al collasso del sistema, e lo standard aureo, ovvero il sistema monetario che regolava quasi ogni valuta mondiale dell’epoca, che prevedeva la convertibilità in oro delle valute stesse e un sistema di cambi semi-fissi fra loro.
Sulla prima c’è poco da dire, l’abbiamo anche ora e ne vediamo gli effetti nefasti. Il capitale, senza limitazioni, va dove è meglio remunerato (ovvero dove l’interesse pagato è maggiore), oppure nei paradisi fiscali. E non andrà mai nell’economia reale (ovvero dove potrebbe creare ricchezza concreta ed occupazione), specie in questo periodo di deflazione. Perché un capitalista dovrebbe rischiare un investimento in una cordata di industrie italiane a rischio chiusura e senza clienti, con l’Italia in recessione e avendo quindi –bene che vada- la prospettiva di una perdita, quando in tutta sicurezza potrebbe acquistare bund tedeschi a rendita garantita lucrando sugli interessi? In secondo luogo, come oggi, non vi era separazione fra banche commerciali e banche d’affari. In altre parole, gli stessi istituti che ricevevano il risparmio dei cittadini, operavano poi rischiose manovre sui mercati dei capitali a scopo di lucro. In caso di perdite ingenti e di chiusura, il risparmio dei cittadini andava in fumo, o peggio, era necessario salvarle dal crack con soldi pubblici sottratti al bilancio dello stato. Scommetto che avete già sentito questa storia.
Infine il gold standard. Due erano le sue caratteristiche nefaste del tutto simili all’attuale funzionamento dell’eurosistema, non a caso in recessione nera. La rigidità dei cambi delle valute, quasi fissi (erano possibili limitatissimi aggiustamenti, oggi neppure quelli). Obbligare paesi con economie di forza non paragonabile a fissare il cambio fra di loro, in regime di libera circolazione dei capitali, si è visto che tende sistematicamente a indebitare e indebolire ulteriormente il paese debole, che perde lo strumento valutario per assorbire gli shock economici esterni, e si trova costretto a dipendere dal paese forte, che di fatto opera via via una sorta di annessione economica ed è destinato a mantenere una posizione egemone. Ogni somiglianza con la situazione tedesca attuale è puramente casuale.
Inoltre, le monete convertibili in oro erano per definizione scarse e tesaurizzabili. Perché l’unico motivo per accrescere la ricchezza di una nazione e la moneta circolante, in assenza di miniere, era accumulare oro nelle casse dello stato, tramite esportazioni, o guerre. Anche questo vi dovrebbe ricordare qualcosa, ma che c’entra l’euro? L’euro non è convertibile in oro, in compenso però è scarso. Avendo la BCE l’assurdo mandato di controllo dell’inflazione e della massa monetaria in circolo ed essendo gli stati che usano l’euro vincolati al pareggio di bilancio (lo stato spende per i cittadini tanto quanto incassa in tasse), l’euro è di fatto una valuta scarsa di funzionamento affine al gold standard. Come se non bastasse, oggi come nel ’29 la deflazione prolungata ha reso gli investimenti in prodotti finanziari più remunerativi che quelli produttivi, ergo sempre più soldi fuggono dall’economia reale per entrare nel pozzo senza fondo dell’economia finanziaria, rendendo l’euro sempre più scarso, e sempre più simile allo standard aureo. Il timore è che la gestione scriteriata dell’eurosistema da parte della classe politica europea e dei tecnocrati della Troika finisca con il provocare un crack di proporzioni del tutto paragonabili, o ben peggiori, a quello del 1929.
 
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Siamo un sito che si occupa prevalentemente di fare “sana” informazione. Come vive “Riscossa Italiana” la crisi, puoi dare delle linee guida ai nostri lettori che vogliono valutare e confrontarsi con delle proposte di cambiamento?
 
E’ molto difficile condensare in poche righe il messaggio costituzionale di Riscossa Italiana, di cui ho l’onore di essere socio fondatore, ma per fortuna in parte vi ho già risposto, e in parte avete già carpito qualche altro dettaglio dal messaggio introduttivo del mio blog.
Per uscire da questa tragedia occorre ripristinare tale patto sociale, rimettere la Costituzione in cima alla nostra agenda politica e ripristinare lo spazio d’azione sovrano e il ruolo dello stato come controllore del mercato e come fornitore di servizi essenziali e garantiti a tutti.
“…Ritengo che lo scopo di ogni attivista dovrebbe essere lavorare duramente per aggregare consapevolezza e consenso sui temi più importanti e fare rete…”

Sono parole mie, ma sono del tutto in sintonia con gli obbiettivi sociali principali di Riscossa Italiana, che rappresento con orgoglio. RIS.CO.S.SA. (acronimo di RIStabilire COstituzione Sovrana SAlvandoci) ITALIANA è una associazione di promozione culturale no-profit a cui hanno aderito giuristi, economisti, esponenti della cultura, associazioni ed individui impegnati sul fronte della critica all’assetto dei trattati europei, in una cornice pluralista tra diverse aree di pensiero democratico.

Riscossa si propone come un’associazione apolitica di alto livello scientifico che può fungere da consulente e interlocutore privilegiato per qualunque forza politica e non che voglia delucidazioni e proposte sui temi crisi economica, costituzione e geopolitica principalmente, in particolare sui danni che ha fatto l’abbandono del nostro modello costituzionale e l’adesione all’ideologia del vincolo esterno. Al contempo, grazie alla coordinazione dei nostri associati, vorrebbe tentare di facilitare la creazione della “rete” di cui si parlava prima, tramite la collaborazione dei soggetti più disparati che riuscirà a mettere in contatto. Siamo nati da poco, ma siamo già riusciti a far sentire la nostra voce a praticamente tutti i partiti esistenti in Italia, anche all’estero, da Podemos alla London School of Economics.

In particolare, un grosso valore aggiunto che Riscossa dà è l’unione dei due ambienti tradizionalmente distinti di economia e diritto. Molto spesso attivisti e cittadini si chiedono come sia stato possibile che provvedimenti così incostituzionali abbiano potuto superare il vaglio del Presidente della Repubblica e della Corte Costituzionale o del Consiglio di Stato. Beh, ci sono stati certamente degli errori. Ma il motivo principale è che nessun giurista o costituzionalista che sia, senza solide basi economiche, ha gli elementi per capire tale incostituzionalità. In teoria è molto edificante il concetto di uno stato che funziona come una grande famiglia, tenuta perciò al pareggio di bilancio. Quale famiglia o azienda potrebbe spendere più di quanto guadagna del resto? Ma solo un economista può sapere che lo stato sovrano non è vincolato come una famiglia, poiché dispone del potere di battere moneta con cui finanziare occupazione e welfare. E che questo, se fatto con criterio, non provoca né iperinflazione né catastrofi bibliche di altro genere. Solo un economista può sapere che misure che aumentano l’offerta di beni e servizi sono inutili finché non si rilancia occupazione e domanda. E solo un economista può sapere i rischi connessi alla libera circolazione di merci e capitali, di cui parlavo prima, o le nefaste prospettive del caso in cui dovessimo firmare l’accordo transatlantico di libero scambio (TTIP) con gli USA, che renderà i nostri governi ricattabili e succubi dell’interesse economico delle multinazionali. Speriamo che la sinergia fra queste due realtà metta l’Italia e la nostra classe politica nelle condizioni di farci uscire dal pantano, con l’aiuto degli attivisti riuniti in gruppi di lavoro divulgativi e scientifici ben coordinati dal direttivo. L’obiettivo di contrastare l’inerzia della storia e modificare la traiettoria culturale di questo paese salvandolo dallo scempio liberista è senza dubbio ambizioso ma meritevole di essere perseguito, ne va del nostro futuro.

Vi invito a leggere il nostro statuto, disponibile qui, insieme ad altri articoli, saggi e proposte di riforma sociale e costituzionale.

E a venirci a trovare al primo meeting nazionale che sarà organizzato quest’anno, il 19 marzo a Pescara, qui i dettagli. (ovviamente ad oggi c'é già stato ndM)

Segnalo infine questa vecchia intervista del professor Antonio Maria Rinaldi, socio fondatore di Riscossa, che riassume caratteristiche e obbiettivi.

Grazie infinite a Mattia Corsini
Salutiamo i nostri lettori con delle parole di Mattia, nella speranze che prendiamo d’esempio e che queste parole come un mantra ci diano forza per impegnarci sempre e comunque!
 
“…Dopo anni passati a lamentarmi dell'iniquità regnante, ho da tempo capito che l'unica via d'uscita é migliorare il mondo con le nostre forze, ogni giorno della nostra vita, esattamente come nelle arti marziali ogni attimo speso ad allenarci ci dà la possibilità di essere più di quel che siamo. Un giorno vorrò dire ai miei figli che ho fatto qualcosa per migliorare il loro mondo…” (cit. Mattia Corsini)

That's all folks!

Ci vediamo in mischia.
Mattia C 
 
 
 

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